Dopo la famosa sentenza del Consiglio di Stato (CdS) 28 febbraio 2018, n.1229, produttiva di una paralisi del settore del recupero per l’inibizione dell’attività autorizzatoria di individuazione dei criteri per l’End of Waste “caso per caso”, il 4 luglio 2018, mentre gli operatori del settore auspicavano un intervento legislativo volto a superare il blocco delle autorizzazioni, entrava in vigore la Direttiva 2018/851/UE, recante importanti modifiche all’art. 6 della Direttiva Quadro Rifiuti (riformulazione delle modalità di individuazione dei criteri EoW), tali da consentire il superamento dell’interpretazione restrittiva adottata dalla summenzionata sentenza del CdS.

Il termine previsto per il recepimento della Direttiva 851[1] è il 5 luglio 2020; ma l’intervento del legislatore in materia di EoW è arrivato con il Decreto “Sblocca Cantieri” (D.L. 32/2019), convertito in Legge 14 giugno 2019, n.55, che ha introdotto una nuova formulazione del comma 3 dell’art. 184-ter, D.Lgs. 152/2006 senza tener conto delle nuove disposizioni del citato art. 6 della Direttiva Quadro Rifiuti: l’attuale comma 3 dell’art. 184-ter obbliga infatti le imprese a continuare a fare riferimento, per i criteri EoW, ai parametri stabiliti nei D.M. 5 febbraio 1998, 161/2002 e 269/2005, cioè a parametri tecnici validi per gli impianti autorizzati secondo le procedure semplificate, ma insufficienti, inadeguati per quelli autorizzati in via ordinaria.

Di seguito, il nuovo comma 3 dell’art. 184-ter, D.Lgs. 152/2006.

Art. 184-ter, comma 3 (prima parte)

“Nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi, quanto alle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti, le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, …….., e ai regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269. Le autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III -bis della parte seconda del presente decreto per il recupero dei rifiuti sono concesse dalle autorità competenti sulla base dei criteri indicati nell’allegato 1, suballegato 1, al citato decreto 5 febbraio 1998, nell’allegato 1, suballegato 1, al citato regolamento di cui al decreto 12 giugno 2002, n. 161, e nell’allegato 1 al citato regolamento di cui al decreto 17 novembre 2005, n. 269[2], per i parametri ivi indicati relativi a tipologia, provenienza e caratteristiche dei rifiuti, attività di recupero e caratteristiche di quanto ottenuto da tale attività”.

In sostanza, tale norma dispone che, in attesa dell’emanazione di criteri EoW ad opera di Regolamenti comunitari o provvedimenti nazionali (Decreti ministeriali), i criteri dei Decreti menzionati nella norma stessa (decreto 5 febbraio 1998, etc.) si debbano obbligatoriamente prendere a riferimento:

  • non soltanto per le autorizzazioni rilasciate in regime semplificato ( 214 e 216, D. Lgs. 152/2006), previste per quelle attività di recupero che possono essere intraprese decorsi 90 giorni dalla comunicazione di inizio attività, in ordine alle quali alla maggiore celerità dell’iter amministrativo corrisponde l’obbligo per l’impianto di osservare specifiche regolamentazioni particolarmente restrittive e non derogabili (i parametri tecnici stabiliti dai Decreti ministeriali richiamati nel novellato comma 3 dell’art. 184-ter);
  • ma anche per le autorizzazioni rilasciate in regime ordinario (l’Autorizzazione unica di cui all’art. 208 e l’Autorizzazione sperimentale, di cui all’art. 211 D. Lgs. 152/2006, nonché l’Autorizzazione integrata ambientale, prevista dal Titolo III-bis della Parte II al D.Lgs.152/2006), le quali sono invece connotate da un iter istruttorio complesso, finalizzato al rilascio di un provvedimento “modulabile” che tenga conto delle specifiche caratteristiche dell’impianto di volta in volta considerato (con previsione dell’esercizio da parte dell’Autorità competente della propria discrezionalità tecnica), e che, in virtù della novella legislativa, si troveranno d’ora in poi nella situazione di avere caratteristiche tecniche identiche a quelle degli impianti autorizzati in regime semplificato, con l’unico elemento di distinzione relativo alle quantità di rifiuti ammessi al recupero: per le autorizzazioni ordinarie non vale infatti il limite quantitativo stabilito dai tre Decreti ministeriali di cui al comma 3, art. 184-ter.

Per il resto, nessuna differenza, rispetto alle autorizzazioni semplificate: stesse caratteristiche dei rifiuti in ingresso e in uscita, stesso ciclo tecnologico, nessun elemento a marcare la distinzione tra le due tipologie di autorizzazioni[3].

Al contrario, nella previgente formulazione del comma 3, art. 184-ter in questione, in virtù dell’espresso richiamo all’art. 9-bis del D.L. 172/2008, era previsto che, nelle more dell’emanazione di criteri per l’EoW stabiliti a livello europeo o nazionale, rimanessero valide, per i prodotti del recupero, le autorizzazioni rilasciate ai sensi degli artt. 208, 209, 211, cioè appunto con le procedure del regime ordinario. Il che consentiva di “modulare” l’attività in base alle specifiche caratteristiche dell’impianto, apportando delle modifiche rispetto agli stretti parametri tecnici di cui al D.M. 5 febbraio 1998 (o D.M. 161/2002 e D.M.269/2005): ad esempio, prevedendo dei flussi di rifiuti in ingresso diversi, individuando nuovi codici CER, modificando le fasi di trattamento in relazione alle peculiarità della filiera, etc., pur senza ottenere, per questo, output diversi, cioè nuovi materiali EoW.

Rebus sic stantibus, molti tra gli addetti ai lavori cominciano a chiedersi se un’impresa possa ancora avere interesse a presentare domanda di autorizzazione ordinaria, o a maggior ragione sperimentale, dato, oltretutto, in questo caso, il costo degli investimenti in nuove tecnologie.

Art. 184-ter, comma 3 (seconda parte)

“.... Con decreto non avente natura regolamentare del Ministro dell’ambiente …. possono essere emanate linee guida per l’uniforme applicazione della presente disposizione sul territorio nazionale, con particolare riferimento alle verifiche sui rifiuti in ingresso nell’impianto in cui si svolgono tali operazioni e ai controlli da effettuare sugli oggetti e sulle sostanze che ne costituiscono il risultato, e tenendo comunque conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente e sulla salute umana. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al precedente periodo, i titolari delle autorizzazioni rilasciate successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione presentano alle autorità competenti apposita istanza di aggiornamento ai criteri generali definiti dalle linee guida”.

Per quanto riguarda l’emanazione di Linee guida, previste allo scopo di uniformare l’applicazione della nuova norma su tutto il territorio nazionale, va detto, innanzitutto, che si tratta di disposizioni di carattere operativo, attuative di una norma di rango primario: esse non potranno pertanto discostarsi dall’ambito disegnato da quest’ultima, cioè non potranno risolvere le incongruenze sin qui segnalate, ovverosia stabilire modalità applicative in contrasto con i parametri tecnici (inderogabili, repetita iuvant) posti nei tre Decreti ministeriali in parola. Mentre è logico che l’obbligo di conformità ai predetti tre Decreti, stabilito dal nuovo comma 3 dell’art. 184-ter, determinerà, giocoforza, uniformità a livello nazionale, anche se non si sa bene con quali risultati sul piano della rivitalizzazione del settore del riciclo/recupero.

In definitiva, le nuove norme non sembrano avere la forza di perseguire l’obiettivo dell’Economia Circolare, cardine su cui si fondano le Direttive del Pacchetto UE, nonché principio ispiratore di provvedimenti adottati ed iniziative promosse in tema di sviluppo sostenibile, peraltro espressamente richiamato dal legislatore nazionale, nella premessa di cui all’art. 1, comma 19, Legge 55/2019, introduttiva del nuovo comma 3, art. 184-ter (“Al fine di perseguire l’efficacia dell’economia circolare, il comma 3 dell’articolo 184 -ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è sostituito dal seguente ….”): non potendo essere sottoposti a recupero, molti rifiuti andranno ad aumentare i quantitativi di quelli destinati allo smaltimento in discarica (o agli inceneritori …: soluzione praticabile?), con buona pace anche del principio della gerarchia dei rifiuti.

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[1] La Direttiva 2018/851/UE fa parte del cosiddetto “Pacchetto Economia Circolare”, costituito da quattro Direttive UE, tutte in vigore dal 4 luglio 2018, che modificano sei precedenti Direttive, dalla Direttiva “madre” sui rifiuti, alle Direttive speciali in tema di imballaggi, discariche, rifiuti elettrici ed elettronici, pile, veicoli fuori uso. Oltre alla Direttiva 851 sui rifiuti, le altre Direttive di modifica sono le seguenti: Dir. 2018/852/UE (imballaggi); Dir. 2018/850/UE (discariche); Dir. 2018/849/UE (rifiuti elettrici ed elettronici -RAEE-, pile, veicoli fuori uso). Per tutte, il termine di recepimento previsto è il 5 luglio 2020.

[2] D.M. 5 febbraio 1998: rifiuti non pericolosi; D.M. 161/2002: rifiuti pericolosi; D.M. 269/2005: rifiuti pericolosi provenienti dalle navi.

[3] Eppure, è lo stesso D.Lgs. 152/2006 a richiamare, all’art. 216, l’applicazione degli articoli sulle procedure ordinarie per operazioni di recupero di rifiuti non ammessi alle procedure semplificate.


 

[1] Cioè le miscelazioni tra rifiuti aventi le stesse caratteristiche di pericolosità o tra rifiuti non pericolosi.


 

 

 


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