Già nel 2018 un gruppo di scienziati giapponesi riuscì a isolare l'Ideonella Sakaiensis, il così detto enzima "mangia plastica". Questo batterio è stato rinvenuto all'interno delle discariche e, negli anni, si è evoluto adattando la sua alimentazione ai rifiuti plastici. Una scoperta di enorme portata ma, dati i lunghissimi tempi di digestione, non sfruttabile commercialmente.

Per questo motivo un gruppo di scienziati dell'università di Portsmouth, in Inghilterra, in collaborazione con il NREL statunitense, ha progetto un nuovo "cocktail" di enzimi in grado di degradare il polietilene tereftalato; scopo del lavoro era rendere il processo chimico di disgregazione del materiale più rapido e utile ai fini pratici.

Già in precedenza il gruppo di scienziati della città inglese era riuscito a velocizzare il processo messo in atto dall'enzima - il PETasi - del 20%. Un risultato ancora lontano dalle tempistiche per le applicazioni pratiche. Il team di ricercatori è però andato oltre, progettando una molecola composta dal PETasi e da un secondo batterio, il MHETasi.

Per riuscirci gli studiosi hanno analizzato la struttura atomica e la struttura tridimensionale dei due enzimi per progettare delle connessioni tra i due. Già con la semplice combinazione del PETasi e del MHETasi il processo di degradazione ha visto raddoppiare la sua velocità. Tramite ingegnerizzazione di connessioni speciali tra le molecole, il tasso di decomposizione è aumentato ulteriormente di tre volte. In totale il tasso di degradazione è arrivato ad essere sei volte più veloce rispetto al semplice PETasi, con lo stesso risultato qualitativo, ovvero la restituzione degli elementi costitutivi originari.

Un risultato che apre grandissime prospettive per un riciclo chimico del PET e, potenzialmente, di altri polimeri plastici.

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