Le malattie infettive rimangono uno dei problemi sanitari più importanti al mondo che colpiscono milioni di persone. La nuova pandemia di SARS-COV-2 ha ulteriormente aumentato la pressione per lo sviluppo di nuovi agenti antibatterici efficienti per prevenire la diffusione di agenti patogeni dall'ambiente agli esseri umani. La disinfezione delle superfici emerge come una strategia vincente per la mitigazione dei fenomeni di multiresistenza ai farmaci, prevenendo la diffusione di agenti patogeni. Ad oggi sono note molte diverse metodologie di trattamenti fisici e chimici per combattere la diffusione delle infezioni batteriche.Gli antibiotici sono stati impiegati in modo massiccio per far fronte alle emergenze sanitarie globali, ma l'abuso di antibiotici ha generato batteri multiresistenti ai farmaci, ostacolando l'efficienza dei trattamenti contro le infezioni. Pertanto, lo sviluppo di antimicrobici alternativi è fondamentale per la sopravvivenza umana. Inoltre, a causa della pandemia di SARS-COV-2, l'uso di disinfettanti per superfici è emerso come una best practice fondamentale per la prevenzione. Tuttavia, questi prodotti vengono rilasciati nell’ambiente, generando un crescente inquinamento terrestre e del sistema acquatico.

Una valida alternativa a questo problema è la possibilità di modificare le superfici dei materiali con prodotti antimicrobici/antibatterici/antivirus che rimangono ancorati alla superficie senza rilasciare sostanze tossiche nell’ambiente. Ad oggi esistono solo sporadici esempi di trattamenti superficiali permanenti e ancora meno quelli disponibili sul mercato.

Ad oggi esistono alcuni esempi di mascherine DPI (FFP2 e FFP3), usate per la gestione delle diffusione del virus SARS-CoV-2, sono disponibili in commercio con proprietà antimicrobiche e/o con proprietà idrorepellenti o anti-goccia. Questi trattamenti non sono generalmente impiegati per le mascherine chirurgiche.

Si ritiene utile, al fine del progetto Eco-DPI e del task 8 all’interno del WP-RI-3, fare una breve panoramica su queste due proprietà funzionali e su alcune soluzioni ad oggi applicate.

Da anni sono venduti e impiegati diverse tipologie di rivestimenti o coating antibatterici per prodotti tessili ma l’argomento è sempre d’interesse, soprattutto in questo periodo dove l’attenzione all’igiene è ai massimi livelli.

Se parliamo di batteri, i prodotti tessili sono ottime sedi per prendere casa e riprodursi, soprattutto se l’ambiente è particolarmente favorevole, come una buona umidità, 37°C di temperatura e una fonte di nutrimento. Per esempio, l’abbigliamento intimo è un habitat ideale, così come tute e capi per lo sport, ma anche calze e interno calzature.

In questi casi la proliferazione batterica è notevole, con formazione di odori sgradevoli, compromissione dell’igiene e, in certi casi, anche rischio di alcune patologie.

Molteplici sono i prodotti tessili dove un trattamento antibatterico di questo tipo risulta utile, come ad esempio i camici dei medici ospedalieri e l’abbigliamento di personale a contatto con la gente, particolarmente soggetti a sviluppo batterico. Visitare pazienti, frequentare corsie, corridoi, studi e ambienti comuni, comporta notevole contaminazione da parte di agenti spesso patogeni. I camici dei  medici sono sterilizzati, ma dopo pochi giorni la carica batterica diventa rilevante e un trattamento antibatterico opportuno, resistente a lavaggi multipli ed efficace contro batteri Gram+ e Gram- , è di grande utilità.

Una problematica simile si pone per personale a contatto con farmaci, alimenti, preparazioni alimentari, studi dentistici, estetici, farmacisti, laboratori di analisi, ma anche banchi di vendita di carni, formaggi e cibi sfusi in genere. Sono casi in cui la garanzia di un abbigliamento igienico e sanitizzato, privo di crescita batterica, fa la differenza.

La recente pandemia ha elevato la nostra sensibilità nei confronti dei germi patogeni e dei virus. Tenendo ben presente che il Covid19 è un virus e non un batterio, sicuramente disporre di abbigliamento e accessori tessili o d’altro genere che siano antibatterici è già una garanzia di igiene e di sanitizzazione. Si aggiunge poi che molti antibatterici riducono drasticamente il tempo di attività dei virus con cui vengono a contatto.

Molti sono gli studi scientifici che stimano il tempo in cui il SARS-CoV-2 può rimanere rilevabile nell’aria, sulle superfici di differenti materiali e su oggetti di comune uso. Per quanto riguarda i tessuti, una ricerca americana dal titolo Persistence of Vaccinia Virus on Cotton and Wool Fabrics (R.Sidwell e altri), di circa 50 anni fa, forniva indicazioni utili circa il comportamento dei virus su tessuti e sulle interazioni virus-tessuti, anche se non si parla espressamente di Coronavirus SARS-CoV-2.

I risultati più interessanti riportano:

  • I virus applicati tramite aerosol persistono più a lungo di quelli applicati tramite inoculo
  • I virus sono più persistenti in ambiente asciutto e meno persistenti con umidità elevata
  • Il tipo di fibra e la costruzione tessile influenzano la persistenza dei virus
  • I virus persistono più a lungo sulla lana e meno a lungo sul cotone

Le fibre di lana sono costituite principalmente da cheratina e hanno una cuticola di squame sovrapposte. Le fibre di cotone sono tubi di cellulosa appiattiti, ritorti con piccola quantità di pectine e cere nella parete esterna. Il contenuto di umidità naturale della lana è superiore a quello del cotone (quindi dovrebbe disattivarsi prima) ma, probabilmente, il virus trova più “spazi” nelle fibre di lana rispetto al cotone, e quindi potrebbe mantenersi attivo più a lungo.

Poiché l’attività virale di solito diminuisce in proporzione al tempo, si può concludere che il virus perda la sua attività durante il tempo di magazzinaggio dei prodotti tessili.

Come si può osservare nella Figura 1, fatta con microscopio elettronico, su una fibra di lana contaminata da SARS-CoV-2, la particella virale (puntino rosso) è quasi invisibile rispetto alla fibra. I virus solitamente viaggiano in raggruppamenti ma, anche mettendo insieme 1000 particelle, non si raggiungono “grappoli” di dimensioni molto rilevanti. Le superfici scabre costituiscono per il virus immense voragini, in fondo alle quali può finire, ben protetto, in attesa che un liquido o una forza elettrostatica lo ripeschi.

Il virus non è fatto da molte componenti. Una è la capsula che serve ad inglobare il virus. È di natura lipidica, è cioè un “grasso”. Volendo arrecare danni al SARS-CoV-2, questa capsula grassa è un ottimo punto di attacco a disposizione dei prodotti antivirali. In chimica si dice che il simile scioglie il suo simile. Una sostanza grassa può dissolvere la capsula virale e per questo il sapone è ottimo.

Altro punto debole per disattivare il virus sono le proteine dalle quali è circondato: in particolare gli “spuntoni”, quella “corona” che tutti abbiamo visto nelle raffigurazioni del Coronavirus. Gli studi dimostrano che questi spilli sono di una glicoproteina a spillo. Questa consente al virus di attraccare e legarsi alle proteine superficiali ACE2 delle cellule epiteliali umane del tratto respiratorio, infettando queste cellule (e noi con loro). L’interazione della glicoproteina a spillo con la proteina di superficie ACE2 della cellula ospite umana è un passaggio cruciale per l’infezione Covid-19. Se si disattivano le proteine, il virus non si disgrega ma sarà inerme.

Per le informazioni che ad oggi si hanno, questo virus si disattiva prima di tutto col sapone, poi con l’ipoclorito diluito, con alcol al 70-90%, con l’ozono, con i raggi UVC, con il calore, con liquidi alcalini. Questi mezzi però non sono utili per rendere un tessuto antivirale.

La letteratura scientifica accorre fortunatamente in aiuto dei tessili indicando che le nanoparticelle (NP) di vari metalli e di alcuni ossidi metallici sono molto promettenti per inattivare i virus. Hanno dimensioni paragonabili ai virus e per questo interagiscono con esso facilmente.

Ecco alcune di queste nanoparticelle antivirali: 

  • ossido di zinco (ZnO NPs),
  • ossido rameoso (CuO NPs),
  • argento (Ag NPs),
  • ioduro di rame (CuI NPs),
  • oro su nanoparticelle di silice (Au@SiO2 NPs)
  • alcuni cationi di ammonio quaternario (comunemente chiamati QAS)

 Va peraltro rilevato come, nel caso di tessili a contatto con la pelle, le nanoparticelle di metalli non siano particolarmente ben viste. Pare infatti che, causa le loro dimensioni nanometriche, possano essere rilasciate e assorbite attraverso l’epidermide.

I principi attivi per trattamenti tessili antivirali oggi disponibili sono costituiti da una (o più) delle sostanze seguenti. 

  • Cloruro di argento
  • Biossido di titanio
  • Composti di ammonio quaternario
  • Argento adsorbito su biossido di silicio
  • Polieteramina – epicloridrina
  • “Vescicole” lipidiche

Cloruro di Argento (AgCl)
Il cloruro d’argento è incolore; presenta bassa solubilità e lento rilascio di ioni argento che conferiscono proprietà antibatteriche al substrato. Le nanoparticelle d’argento sono state studiate principalmente per il loro potenziale antimicrobico contro i batteri. Esse hanno dimostrato di essere anche attive contro diversi tipi di virus, tra cui il virus dell’HIV, il virus dell’epatite B, il virus dell’herpes simplex, un virus respiratorio e il vaiolo delle scimmie. Secondo altro studio le nanostrutture metalliche del cloruro di argento costituiscono una grande opportunità per sviluppare nuove terapie antivirali contro un ampio spettro di virus, riducendone l’attività come altri antivirali convenzionali.

Biossido di titanio (TiO2)
Superfici rivestite con TiO2 presentano proprietà di ridotta adesione nei confronti del particolato in genere. Le particelle virali potrebbero quindi avere maggiore difficoltà ad aderire a tessuti così trattati. Il TiO2 ha inoltre proprietà fotocatalitica quando attivato con ultravioletti “vicini” (UVA), presenti nella luce solare. In queste condizioni, il TiO2 genera delle “Reactive Oxygen Species” (ROS), sostanze fortemente ossidanti in grado di trasformare sostanze organiche (come i batteri) in molecole inorganiche, come acqua e anidride carbonica. Si sviluppa così azione antimicrobica per decomposizione di batteri e funghi. In considerazione del meccanismo di azione, il TiO2 non è considerato un biocida, pur svolgendo azione antibatterica.

Composti di ammonio quaternario (QACs)
I composti di ammonio quaternario hanno dimostrato attività antimicrobica. Alcuni QACs (contenenti catene alchiliche lunghe) vengono usati come antimicrobici e disinfettanti anche di uso comune, come il benzalconio cloruro ( “Bialcol®”) e altri. I QACs sono efficienti anche contro funghi e amebe. Circa l’attività antivirale, essa pare manifestarsi contro virus “incapsulati” (enveloped) come il Coronavirus SARS-CoV- 2 [9]. Questo effetto dipenderebbe da due fattori: l’affinità dei QACs verso le proteine che costituiscono la “corona” dei Coronavirus e la natura lipidica di cui è costituito l’involucro del Coronavirus. L’efficacia dei QACs sarebbe invece assai limitata contro i virus non-incapsulati.

Polieteramina – epicloridrina 
Vi sono alcuni studi, in particolare sulla Polieteramina i cui risultati dimostrano l’efficacia contro i batteri Staphylococcus aureus (gram +) e la capacità di legare il DNA attraverso la complessazione ionica [10], con effetto antivirale. Si deve ricordare che, affinché una particella di virus si disattivi, deve finire proprio sopra, o a fianco, di una nanoparticella antivirale. E quindi l’attività antivirale del trattamento dipende dal grado di ricopertura delle fibre con il principio attivo antivirale. Resta fermo il fatto che è impossibile ricoprire tutta la superficie delle fibre, ma solo una minima parte.

Qualsiasi sia il principio attivo che si usa, è necessario dimostrare che il tessuto sia “antivirale”, ossia in grado di disattivare il virus che si deposita sopra. Si deve comunque tenere presente che anche sopra un tessuto non trattato il virus si disattiva sempre e comunque in un determinato tempo, dipende appunto dal fattore ‘tempo’. Quindi un tessuto dichiarato ‘antivirale’ deve essere in grado di disattivare il virus in un tempo decisamente inferiore rispetto al medesimo tessuto non trattato mantenuto nelle stesse condizioni. Purtroppo, dimostrare questo è molto difficile, più complesso e più costoso che verificare se un tessuto è antibatterico. E il problema sono proprio i virus: non si vedono e non si contano agevolmente e non si comportano certo come i batteri.

La prova dell’attività antivirale di un tessuto si può fare solo in laboratorio e al momento c’è una sola norma utile di riferimento (la ISO 18184) assai complessa. Per quanto riguarda gli antivirali per i tessuti contro il Covid19, sono ancora pochi i produttori chimici che si stanno cimentando. Ad oggi, non sembra essere emersa una tecnologia migliore, né il principio attivo di elezione (anche se il cloruro di argento parrebbe favorito).

È importante sottolineare che svariati dei principi attivi sopra riportati hanno delle restrizioni nell’ambito della normativa REACH e perciò non possono essere impiegati per il trattamento di tessuti. Rientrano in queste categorie le nanoparticelle e l’epicloridrina. Attualmente anche l’Argento il cui uso è estremamente diffuso per il trattamento antibatterico dei tessuti, è oggetto di studio e potrebbe a breve essere inserito nelle sostanze che non possono essere impiegate per il trattamento di tessuti. Questo implica che in un arco temporale piuttosto breve il settore tessile e dei DPI si troverà ad affrontare un grave problema per la commercializzazione di materiali aventi proprietà antibatteriche/antivirali.

In questo contesto il lavoro svolto nel presente progetto è di importanza strategica per poter soddisfare le nuove esigenze del mercato, identificando tecniche di trattamento superficiale dei DPI che impieghino sostanze non tossiche e quindi non soggette a restrizioni dal regolamento REACH.


ICE Toolkit

strumenti a supporto delle decisioni aziendali

per la circolarità


per la transizione ecologica


per LCA


Processi di Simulazione

Processi Certificati GTI

PROGETTI

Il progetto INERTEX – SISTEMI AVANZATI PER L’INERTIZZAZIONE DEI RIFIUTI è stato cofinanziato dalla Regione del Veneto. Piano Sviluppo e...

Il progetto EcoDPI, acronimo di ECOdesign e riciclo di DPI in una filiera industriale circolare, è il nuovo progetto che vede la collaborazione tra...