I materiali plastici che vengono dismessi a fine vita (End Of Life – EOL) possono essere gestiti in diversi modi:

  • Riciclo di ordine zero o riutilizzo,
  • Riciclo primario o diretto/a ciclo chiuso: è un riciclo di tipo meccanico in cui si utilizza materiale già formato come materia prima secondaria nello stesso ciclo produttivo,
  • Riciclo secondario o indiretto/a ciclo aperto o declassamento (downcycling): è di tipo meccanico e utilizza materiale già formato come materia prima secondaria per un articolo di valore inferiore a quello originario,
  • Riciclo terziario, anche detto rigenerazione o riciclo chimico/delle materie prime (feedstock),
  • Riciclo quaternario o termovalorizzazione, ovvero combustione per recupero energetico,
  • Conferimento in discarica: è il metodo meno desiderabile nell’ottica dell’economia circolare, infatti nessuna delle risorse materiali utilizzate per produrre la plastica viene recuperata e si aggiungono anche rischi a lungo termine di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee da parte di alcuni additivi e sottoprodotti di degradazione nella plastica, che possono diventare inquinanti organici persistenti.

Le opzioni di riciclo suddette, ad eccezione del conferimento in discarica che non prevede un utilizzo dello scarto, sono categorizzate, da norma, in quattro classi, come si vede nella figura sottostante.

È fondamentale notare che non esiste un’unica strategia vincente per ogni materiale plastico (one-method-treats-all), infatti ciascun polimero ha necessità diverse dettate dalla sua particolare natura (termoplastico, termoindurente) o dalla forma del prodotto (monocomponente, monostrato oppure multicomponente, multistrato), e ogni azienda o società ha possibilità e limiti diversificati.

A livello economico vi sono due fattori chiave che influenzano la fattibilità del riciclo dei polimeri:

  • il prezzo del riciclato rispetto al vergine (influenzato dal prezzo del petrolio, materia prima per la produzione di plastica), che dev’essere inferiore o al massimo uguale, poiché la qualità della plastica recuperata è tipicamente inferiore a quella della plastica vergine,
  • il costo del processo di riciclo rispetto a forme alternative di smaltimento.

Due obiettivi fondamentali sono quindi colmare il divario tra proprietà della resina riciclata e vergine e diminuire il costo del processo di riciclo, aumentandone l’efficienza.

 Il riciclo meccanico prevede una serie di operazioni fisiche sullo scarto, quali separazione, macinazione, lavaggio, essiccazione, eventuale aggiunta di polimero vergine o additivi, rifusione e ottenimento del prodotto finale. Può essere a ciclo chiuso, quando lo scarto rientra nel processo produttivo tal quale a seguito di macinazione e rifusione, mantenendo inalterate le proprietà iniziale, o a ciclo aperto, nel caso in cui lo scarto sia misto, contaminato o degradato e quindi impiegabile in un’applicazione di minor valore rispetto a quella originaria.

Questo metodo risulta essere il trattamento migliore considerando il fatto che riduce al minimo l’effetto sui cambiamenti climatici, sul consumo di risorse naturali e sulla domanda energetica. Tuttavia il riciclo meccanico ha anche un forte limite: spesso i polimeri riciclati esibiscono qualità inferiore al polimero vergine a causa di:

  • incompatibilità chimica, a causa della immiscibilità intrinseca a livello molecolare, e differenze nei requisiti di lavorazione di scarti misti,
  • riduzione del peso molecolare medio delle catene dovuta a fenomeni di degradazione termomeccanica o chimica durante l’utilizzo o il reprocessing.

Ciò si traduce in un limitato numero di volte in cui un polimero può essere riprocessato, dopodiché dovrà essere definitivamente dismesso. Si può pensare quindi ad un recupero delle proprietà meccaniche degli scarti con l’aggiunta di polimero vergine o additivi, ma si deve far attenzione a non perdere la sostenibilità economica ed ambientale in un processo di riciclo di questo tipo. È quindi un metodo inadatto a mantenere il valore materiale nel sistema a lungo termine.

Si possono distinguere due tecniche di riciclo meccanico, che differiscono tra loro per la qualità dell’output: riciclo primario e secondario.

Il riciclo primario, noto anche come re-estrusione (re-extrusion) o riciclo a ciclo chiuso (closed loop process), prevede il diretto ritrattamento meccanico degli scarti incontaminati, solitamente nello stabilimento di produzione, a formare un prodotto con proprietà equivalenti al materiale vergine; durante la produzione di manufatti, infatti, si formano spesso sfridi, ovvero scarti di lavorazione (come per esempio i canali in una stampa ad iniezione), che vengono  macinati e rifusi (possibilità aperta solo a polimeri termoplastici, mentre i termoindurenti sono infusibili ed insolubili a causa della reticolazione che si ha in fase di formatura) e reintrodotti nel ciclo di produzione per ottenere manufatti costituiti dallo stesso materiale. I grandi vantaggi di questa tecnologia sono la semplicità, il basso costo e il mantenimento del valore del materiale tale e quale, mentre il limite è la ridotta applicabilità, infatti è realizzabile quasi solamente quando il costituente del polimero è di composizione chimica nota, efficacemente separato dalle fonti di contaminazione, perciò esente da impurità, e stabilizzato contro la degradazione durante il ritrattamento e l'uso successivo, perciò con proprietà molto vicine a quelle dei polimeri vergini.

Il riciclo secondario, detto anche riciclo indiretto/a ciclo aperto o declassamento (downcycling), è sempre un ritrattamento meccanico ma genera prodotti che presentano proprietà inferiori. Solitamente si applica a polimeri a composizione non nota e mista o in presenza di impurità. Il materiale di scarto subisce macinazione, lavaggio, essicazione, successiva separazione e, infine, le diverse tipologie di polimero ottenute vengono riprocessate singolarmente per ottenere gli oggetti riciclati; come già detto, la possibilità di reprocessing è aperta solo ai polimeri termoplastici. Gli scarti diretti e uscenti dal riciclo secondario risultano degradati, con proprietà termo-meccaniche inferiori ai relativi polimeri vergini, perciò non più adatti alle applicazioni originarie. L’abbattimento delle proprietà è da ricercare nel ridotto peso molecolare medio delle molecole nel polimero di scarto rispetto a quelle del polimero da sintesi, a causa dell’effetto combinato di sforzi meccanici e temperatura; a questo si aggiunge, nei polimeri misti o contaminati, il fatto che spesso polimeri diversi sono incompatibili, perciò la miscela di scarto risulta peggiore rispetto ai componenti del blend puri presi singolarmente.

È interessante notare che i rifiuti di plastica pre-consumo/post-industriali vengono attualmente riciclati in misura maggiore rispetto a quelli post-consumo poiché sono relativamente puri e disponibili da un numero inferiore di fonti. Tuttavia, i volumi di rifiuti post-consumo sono fino a cinque volte maggiori di quelli generati nell'industria e quindi è necessario occuparsi correttamente della raccolta e del riciclo di tutti i tipi di rifiuti, al fine di ottenere tassi di riciclo complessivi elevati.

 Un forte limite del riciclo meccanico, come detto, è la perdita di proprietà spesso osservata nei materiali da riciclo. È fondamentale la conoscenza dello stato di degradazione di un polimero, poiché essa determina l’applicabilità del polimero stesso e la definizione delle possibilità di ottimizzazione.

Durante la vita utile e ugualmente durante il processo di riciclo le materie plastiche risentono delle condizioni fisiche e chimiche in cui si trovano, come la presenza rispettivamente di sforzi meccanici e di calore, sostanze ossidanti, radiazioni luminose, reazioni di idrolisi.

È possibile determinare lo stato di alterazione del polimero tramite le seguenti analisi:

  • La spettroscopia ad infrarossi a trasformata di Fourier (FT-IR) è in grado di rilevare le modifiche nei gruppi funzionali di un polimero;
  • Con il microscopio elettronico è possibile osservare variazioni morfologiche del composto;
  • l’OIT (oxidative induction time), parametro che misura la stabilità termo-ossidativa, è determinabile con un’analisi termogravimetrica (TGA) o con la calorimetria differenziale a scansione (DSC);
  • La stabilità termo-meccanica si misura tramite un’analisi dinamico-meccanica (DMA);
  • Analisi meccaniche, come prova a trazione o ad impatto, sono in grado di stabilire le variazioni nelle proprietà meccaniche;
  • Le proprietà reologiche, in particolare l’Indice di fluidità del fuso (MFI), danno un’indicazione delle variazioni del peso molecolare medio del polimero, poiché dipendono da questo, mentre l’analisi cromatografica a permeazione di gel (GPC) permette di analizzare la distribuzione dei pesi molecolari.

La degradazione è la perdita della struttura molecolare attraverso reazioni chimiche che portano alla scissione delle macromolecole e/o alla formazione di reticolazione. Il processo di degradazione inizia con la scissione omolitica di legami primari covalenti carbonio-carbonio, che generano catene molecolari corte con un atomo radicale, altamente reattivo; questo può dare reazioni di disproporzione o trasferimenti di catena che producono quindi catene molecolari corte o reticolazione. Nel caso di depolimerizzazione si ha quindi una riduzione del peso molecolare medio, ovvero un aumento dell’Indice di fluidità del fuso (MFI) e una variazione della distribuzione dei pesi molecolari delle catene polimeriche; ciò implica un peggioramento delle proprietà meccaniche, quali per esempio allungamento a rottura e resistenza all’impatto. Al contrario se si hanno reticolazioni, queste provocano una riduzione del MFI, che si traduce in una minor lavorabilità. Con la degradazione non si ha solo una variazione delle proprietà reologiche e meccaniche, ma anche chimiche (gruppi funzionali), morfologiche (grado di cristallinità) e termiche (temperatura di transizione vetrosa, di fusione, di distorsione termica).

I fattori estrinseci responsabili della degradazione dei polimeri possono essere classificati in due gruppi principali: meccanico e chimico. La degradazione per azione meccanica si può verificare in tutte le fasi di vita del polimero: formatura, esercizio e riciclo. È dovuta all’azione di sforzi di diversa natura (taglio, flessione, torsione o trazione) talvolta combinati ad elevate temperature in presenza di ossigeno. La degradazione per cause chimiche può essere: termodecomposizione, ossidazione, idrolisi, fotodegradazione o biodegradazione, ad opera dei microrganismi.

Infine è utile notare che la presenza di molecole a basso peso molecolare nel materiale da riciclo può essere data dal processo degradativo di depolimerizzazione, come detto, oppure può essere causata dalla presenza di solventi, catalizzatori e additivi utilizzati nel precedente ciclo di vita del materiale; questi sono considerati contaminanti e la loro presenza, anche se in traccia, può danneggiare fortemente le proprietà finali del manufatto.

 


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